martedì 6 agosto 2013

1. Il colloquio indecente


Sale la scala e tutto quel che lei non può sapere sta per accadere.
Tutto quello che una praticante non immagina, sullo studio commerciale in cui crede di dover semplicemente imparare le prassi di una professione.
Christina, poi, è così: un tipo semplice, una ragazza a posto, facilità di studio, conversazione composta.
E per quello ed i suoi ottimi voti è lì. Ha i suoi biglietti da visita, classici, sempre buoni.
Lo studio ha un piccolo atrio con una sedia ed un semplice divano, per l'attesa degli ospiti. La segretaria ha chiesto di attendere: il dottore è al telefono e appena terminato la riceverà.
– Prego, signorina – le fa quella, dopo qualche minuto – seconda porta a destra sul corridoio.
– Grazie.
– A più tardi.
Un odore di pulizie fatte da poco la accompagna nel breve percorso, ma l'ambiente ha una sua solennità, fatta di marmi e piante, quasi da manuale. Uno studio di buon livello, ma alla fine uno studio come tanti.
Con garbo Christina bussa alla porta socchiusa. Il dottore, intravistala dalla fessura, le fa cenno di entrare.
Sfiorando i suoi ricci neri all'altezza dell'orecchio, un gesto automatico che manifesta un minimo imbarazzo, ella si accomoda nella stanza, avanzando verso la scrivania del dottore per tendergli la mano e presentarsi.
– Salve, dottore. Christina Mayer.
– Salve. – fa quello, alzando la testa da alcune carte sul tavolo.
Lo sguardo di quel piccolo uomo incrocia il suo, lentamente.
Il dottore non parla. Non dice niente.
Dopo pochi istanti questo silenzio diventa subito stonato.
Non rispetta i piccoli tempi morti dei dialoghi umani. Si prolunga.
– Signorina Mayer, una gentilezza...
Ma Christina è spiazzata. Annuisce senza pensarci.
– ...potrebbe tornare verso la porta e ricominciare la sua presentazione?
Mentre già ripensava a tutti i luoghi comuni sulle stranezze dei professionisti che le era capitato di sentire in giro, compie comunque l'azione che le era stata richiesta. Per quanto strano, si trattava pur sempre del commercialista con cui avrebbe dovuto lavorare, salvo imprevisti.
Così Christina torna alla porta, esce e poi rientra, facendo per quanto possibile in queste condizioni le medesime cose di prima.
Lo sguardo di lui però stavolta non è distratto. Anzi, la segue attentamente.
– Avanzi lentamente, se non le dispiace...
Quelle strane richieste pronunciate con cortesia, rendono il contesto assurdo.
–  Posso sedermi? – chiede Christina con voce sommessa.
– Comprendo – risponde il dottore, mentre le fa cenno di accomodarsi – che il mio comportamento l'abbia sorpresa, è ovvio. Ma quando ci si trova davanti qualcuno o qualcosa che lungamente si è cercato, la reazione di ognuno è parossistica. E induce chi a tale reazione assiste, specie se direttamente interessato come nel suo caso, signorina Mayer, allo sbigottimento.
– Ma no, si figuri...
– Certo, invece. Sarei sorpreso anch'io. Comunque – fa quello alzandosi dalla sua poltrona – non è di conteggi e di tasse che si occuperà signorina, se vorrà. Non primariamente e man mano sempre meno, ad ogni modo.
Le perplessità di Christina crescono per forme e dimensioni. Cosa si può pensare di fronte ad un colloquio simile? Rimane, tuttavia, apparentemente imperturbabile.
– La devo pregare di lasciarmi terminare il mio pensiero, prima che lei esprima a riguardo il suo sdegno, come certamente sarà portata a fare.
Le premetto che non sono uno sfruttatore; nulla anima in me i desideri deviati di squallidi anziani versi le proprie collaboratrici, tanto che chiunque operi od abbia operato in questo studio è a conoscenza di quanto vado a dirle. Posso procedere?
– Prego... – sussurra Christina, in realtà gelata da quel prologo.
– La ringrazio.
So di lei che studia con profitto, che è una persona attenta ed educata.
So che non ci sono ombre nella sua famiglia né nella sua vita.
So che è concentrata sui suoi obiettivi e che, malgrado sia normalmente socievole, non antepone volentieri il suo svago ai suoi impegni.
Così l'hanno presentata a me persone a lei vicine e per me fidate.
– La ringrazio.
– Non me, ringrazi loro signorina. E se stessa per queste ottime qualità.
Ma io in pochi istanti, davanti a me, ho visto un lato di lei che, signorina Mayer, lei stessa reprime ed ignora. Da qualche anno ormai.
Da ora, la prego, non mi interrompa; fin quando io glielo chiederò.
– Bene.
– Lei è un'amante, un'amante per natura.
Christina spalanca le palpebre, ma richiamata alla sua promessa dal suo minuto interlocutore con uno sguardo fulminante, non pronuncia parola.
– Non solo il suo corpo, vicino alla perfezione femminile, ma anche il suo cervello sono creati per quello che i bigotti chiamano il peccato.
E lei lo sa, perché pur non peccando in se, ha gioito in maniera abnorme del rapporto fisico con il maschio e del suo travolgente epilogo.
La ragazza rimane di stucco. Il fremito di alzarsi e scappare da quel vecchio satrapo si blocca di fronte ad una verità di se che mai avrebbe immaginato potesse incrociare niente meno che l'ambito lavorativo.
– Ora lei si chiederà cosa c'entra questo con l'attività che di norma si svolge qui.
La risposta, ahimè, è: niente.
O meglio, niente se non il punto dello spazio e del tempo che il destino mi ha consegnato per incontrare la figlia di Venere. Perché questo lei è, Christina.
La vicenda sembra per Christina volgere sullo scherzo, di dubbio gusto per altro.
– Non è un gioco, mi creda – dice il dottore con piglio severo.
E non è lei che lavorerà per me, ma in un certo senso io lavorerò per lei.
Ho una missione, che è onere ed onore, di condurla a se stessa.
È curioso il suo fato, Christina: essere schiava per essere libera. Ed essere poi ancor più schiava, per rimanere libera.
A quel punto il dottore schiaccia in sequenza dei pulsanti sul lato della scrivania.
Si sente la porta serrarsi e poi i rumori esterni che si attutiscono, fino a sparire.
Christina ha il sangue ed i nervi bloccati. Con gli occhi fissa quelli del dottore.
Lui si avvicina, piano, girando intorno alla scrivania.
A poco più di un metro da lei, il dottore si porta la mano destra all'altezza della cintura, ma poi scivola sulla lampo, che tira verso il basso.
Mentre infila la mano nei pantaloni, dentro le mutande, Christina non smette di incrociare lo sguardo di lui.
– E’ ora di decidere... – fa il dottore, estraendo il suo arnese.

Gli occhi della ragazza iniziano a discendere il breve busto del dottore, fino a trovare il ventre.
Osserva il particolare per qualche istante. Poi torna a quello sguardo fermo, quasi distaccato, con cui il dottore la fissa per carpirne le reazioni.
– È... – sussurra  lei, rimasta di stucco.
– Parli, signorina. Non tema le sue sensazioni.
– È... – replica lei, prendendo ancora una pausa prima di spiegare – È così... grande...
– Si sbaglia. È più grande, quando serve.

Christina non può che tornare a guardare lo scabroso organo che l’uomo tiene appoggiato sul palmo aperto della mano.
– Alla mia età non si può più essere in grado di usare una cosa del genere come quando si era giovani, signorina, ma ho dovuto attendere così tanto prima che lei arrivasse da me...
– Io... io sono solo una studentessa, dottore... – risponde Christina tremante – Sono qui per lavorare e, invece... mi ritrovo in una specie di trappola...
– Non è una trappola: lei d’istinto non ha reagito voltandosi! – grida quello, quasi a rimproverarla – Non ha provato a scappare; lei ha guardato!
– Lei mi ha messo in soggezione, dottore!
– Forse... – fa lui tornando al tono di voce di prima – Ma si è rivelata, ormai... quel che ha visto non le è dispiaciuto. È sorpresa, non scandalizzata.


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