domenica 11 agosto 2013
5. Indigena
- Certo che fa caldo, capo. Qui in Africa funziona così.
- Non perdiamo tempo. Appena uscita dall’aeroporto, troverai due persone ad aspettarti. Conosci il Francese?
- No.
- Allora non capirai quasi nulla, fino a quando non incontrerai Muriga. Lui parla anche la nostra lingua.
- Parleremo?
Il dottore chiude la conversazione senza dire altro.
Come le aveva preannunciato, ad attenderla trova un tizio con un cartoncino con su scritto il suo nome, che la conduce verso una piccola jeep dove alla guida sta l’altro.
- Bonjour, je suis…
- Christine?
- Christina!
- Oui, Christine, oui…
Quello neanche la sta più a sentire. Butta la valigia sul retro del veicolo, sale e, nella loro lingua, dice all’altro qualcosa di incomprensibile.
Per tutto il viaggio, una mezzora all’incirca, non viene pronunciata nessuna parola. I rumori che si sentono intorno, il chiasso di una città piena di gente riversa sulle strade, fanno da sottofondo a quel viaggio surreale.
Ovunque le persone sono seminude. Anche Christina con quel caldo asfissiante vorrebbe fare a meno del vestito di lino che la copre quasi interamente.
La jeep si addentra man mano in una zona piena zeppa di baracche, in cui gli sguardi incuriositi degli abitanti accompagnano la ragazza nell’ultimo breve tratto di strada che la separa dalla sua meta.
In mezzo a quello squallore di lamiere, la dimora a cui è destinata sembra l’unica costruita con calce e mattoni. Ha quasi un aspetto occidentale. È persino dotata di una recinzione, malgrado poi non ci sia neanche l’ombra di un cancello all’entrata.
- Allez, Christine! – richiama la sua attenzione l’inserviente sceso dal trabiccolo.
Le fa segno di seguirla e lei gli va dietro, entrando con lui all’interno di quello strambo villino. Poi il tizio molla il bagaglio ad un angolo della grande stanza d’ingresso.
- Va-t’en, Jojo, va-t’en! – intima una voce bassa dall’altro lato.
Un uomo non certo giovane, scuro di pelle come la pece, seduto su una vecchia sedia a dondolo con le mani sulla sostanziosa pancia ed una pipa in bocca, fissa il ragazzo con severità. E quello se ne va chiudendosi la porta alle spalle.
Resta sola, Christina, al cospetto di quel burbero ciccione.
Per qualche minuto il tizio se la guarda in silenzio, mentre sbuffa fumo e suda.
- Il signor Muriga?
- Al quartiere indigeno non ci sono signori.
- Non volevo offenderla.
- Ma non dire cazzate. Vai nella stanza accanto e infilati quello che trovi sulla panca.
- Non si preoccupi, ho le mie cose in valigia.
- Io voglio che ti metti quello. Muoviti.
Christina decide di non contrariarlo e fa quello che gli chiede.
Si tratta di un vestitino blu a fiori, stretto in vita con la gonna corta a metà coscia ed un’ampia scollatura sul decolleté.
Appena messo su l’indumento, come ordinatole, torna nello stanzone.
L’uomo la fissa ancora un po’, vagamente compiaciuto. Poggia la pipa su una specie di posacenere di pietra, si alza lentamente dal suo seggio e, una volta in piedi, sbottona la chiusura dei suoi sudici pantaloni scuri.
Mentre si avvicina a lei, infila una mano nella fessura e con difficoltà estrae il suo inquietante arnese.
- Oooh!!! – esclama Christina, quasi strillando.
Caracollando, il nero le arriva a pochi centimetri e la afferra con vigore dai fianchi.
La ragazza non ha il tempo di capire. Quello che le era quasi sembrato un vecchio la solleva in alto come fosse una piuma. Con un movimento fulmineo, le infila la testa tra le cosce ed inizia a leccarle il ventre con una foga mostruosa.
Christina è sorpresa da quella veemenza, e non riesce a non godere di quelle avance brutali. Ma lui non le concede neanche il tempo di rendersi conto del turbine di sesso che è cominciato.
La lascia quasi cadere a terra.
- Che fighetta saporita, questa bambolina inglese del mio caro Frank!
Ansimante e sconvolta, Christina rimane fissata a pochi centimetri dal tronco che il nero ha tra le gambe.
- Dicono in giro che lo succhi proprio bene, vero?
- Mah, io…
- Non mi dire che non ce la fai…
A quel punto, quasi intontita dal gigantismo di quell’organo, Christina lo prende tra le mani e prende a massaggiarlo piano piano.
L’attrezzo rapidamente inizia ad indurirsi, fino ad ergersi dritto e nerboruto come un bastone. La ragazza ad una simile vista rimane a bocca aperta.
Al che il nero avvicina il membro sempre più a ridosso delle labbra di Christina e, resosi conto della mancanza di resistenze in lei, le afferra la chioma dalla nuca e glielo infila all’interno della cavità, fino alla gola.
Christina, sorpresissima per questo nuovo assalto, tossisce di riflesso e lacrima per il soffocamento.
Ma non riesce a respingerlo indietro. E quello affonda ancora il membro dentro la sua bocca. Poi di nuovo, e di nuovo ancora.
La presa su quei riccioli non viene mollata. Christina si sorregge sulle cosce del depravato.
Da quel momento spinte aumentano di frequenza. Sempre di più, sempre più forti. E lei in breve tempo soccombe.
Il nero diventa una furia. Per un paio di interminabili minuti, il suo arnese fa avanti e indietro sulle labbra di lei con una velocità incredibile.
Come un animale in calore, l’uomo sfoga il suo piacere in veri e propri grugniti, fino a quando esplode in un orgasmo bestiale, copiosissimo, che inonda tutto il viso della malcapitata.
Christina lo guarda dritto negli occhi, mentre ansima affaticata dalla lunga apnea. È spaventata.
- Non avere paura, bambolina… - fa quello, ghignando dall’alto – Ti abituerai presto al mio gingillo.
Le ultime lacrime le scendono ancora sulle guance e tutto quel liquido si spande verso il collo ed il seno.
- E dimmi, ti piace il mio gingillo, vero blanc?
Christina rimane impassibile. Continua solo a respirare affannosamente.
- Ti piace questo grosso cazzo, blanc? – la incalza lui.
La ragazza chiude le palpebre.
- Oui… - fa lei, annuendo leggermente con la testa.
- Bene, blanc. Ne avrai tanto che impazzirai, allora.
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